Roger Waters Ça Ira in stile Ottocento

RIPORTIAMO QUESTA INTERVISTA APPARSA IL 3 OTTOBRE 2005 SUL QUOTIDIANO «LA STAMPA»

Roger Waters - «Ça Ira» in stile Ottocento - «Ho ritrovato i Pink Floyd», di Marinella Venegoni
«Pronto, sono Roger Waters». Fuori giorno, fuori orario convenuto (ma naturalmente benvenuto) si fa vivo al telefono dalla sua casa nella campagna inglese il genio pensante dei Pink Floyd, riunitosi ai compagni dopo 22 anni di lotte a muso duro nell'indimenticabile performance che ha chiuso a Londra il Live8. Domani Waters presenterà a Roma la sua monumentale opera lirica «Ça Ira» ispirata alla Rivoluzione Francese e musicalmente di stampo ottocentesco. Dopo 16 anni di lavoro irti di difficoltà e segnati dalla morte degli autori del libretto (i coniugi francesi Etienne & Nadine Roda-Gil) «Ça Ira» andrà in scena in forma di concerto il 17 novembre all'Auditorium del Parco della Musica, con replica a furor di popolo il giorno dopo. Waters, per cui la riuscita del progetto è una ragion di vita, sta seguendo con eccitazione crescente sia i preparativi che il cammino dell'album, uscito il 23 settembre. E' gentile, non avaro di informazioni e non sbotta neanche quando si parla di Pink Floyd. Anzi.
Signor Waters, la sua opera susciterà sorpresa fra i fan storici. C'è aria classica, ottocentesca.
«Il primo giorno che mi sono messo a scrivere, in studio, davanti a un registratore, con pianoforte e microfono, il libretto sembrava domandarmi questo tipo di musica. Per tutta la vita sono stato attirato dalle sonorità del XIX secolo, sono un fan di Berlioz, Prokofiev, Beethoven; ma mi hanno ispirato anche le melodie folk, certe marce e altre idee mie come il coro dei bambini».
I suoi cori per bambini sono nella storia del pop. Alcuni fanno pensare a «The Wall».
«Il processo, mi rendo conto, sembra lo stesso. "The Wall", "Wish You Were Here"... Però uso colori diversi, cerco una diversa risposta emozionale. In parte anche i concetti che avevo in mente sono gli stessi di "The Wall": le mie ossessioni sono rimaste le stesse nel corso della carriera, sono sempre preso dall'idea dell'impotenza dell'essere umano di fronte a una perdita personale».
In questo lavoro per orchestra, cantanti lirici e cori classici, solo un paio di episodi rimandano alla musica popolare: il canto dello schiavo rivoluzionario Ismael Lo, e un coro gospel; il ritmo è tenuto da un colpo di frusta.
«Io non penso che la sezione di Santo Domingo sia differente come genere. Mi sembra tutto scritto nello stesso modo, e solo cantato in modo diverso. Volevo un suono molto africano».
Come mai ha scelto Roma per il debutto del 17 novembre?
«E' Roma che ha scelto me. Flavio Severini, direttore artistico di "Musica per Roma", è sempre stato un fan del mio lavoro».
A quale teatro d'opera sta pensando, per la rappresentazione scenica completa?
«Bonn ha manifestato interesse. Però guardi che per Roma ho scelto alcune proiezioni che accompagnino la performance, seguendo parte dal libretto, per far capire che cosa sto facendo. E' anche un modo per suggerire ai produttori come mettere in scena "Ça Ira"».
Qualche giorno fa il critico classico del «New York Times» ha recensito «Ça Ira» definendo «sorprendentemente conservatori» sia lei che altri suoi colleghi e ha salvato solo Frank Zappa. In pratica è deluso, visto che lei viene dai Pink Floyd famosi per le sperimentazioni su timbro e struttura compositiva: molto più bello «The Wall», ci ha fatto capire...
«Era una recensione non seria su un giornale serio. Dice che gli ricordo Brahms, poi Puccini o Prokofiev, e lo prendo come un grosso complimento. Sembra criticare il mio background: cita McCartney ma non mi paragona a lui, è un po' troppo facile cavarsela con un "Vabbè, è una rock'n'roll star". Quando poi dice che la mia è una crisi di mezza età, lo trovo patetico. Mi critica anche per aver scritto un lavoro conservatore: ma io trovo la musica classica moderna inimmaginabile, un gioco intellettuale e io non amo giocare».
Alla prima di Roma avrà 200 invitati. Chi sono, e c'è anche Mick Mason, per merito del quale lei si è riconciliato con i Pink Floyd?
«Colleghi, amici, gente dello showbusiness. E, certo, anche Nick Mason».
Sta lavorando a un rock album che segue «Amused to death».
«Veramente sto lavorando a due cd. Uno, molto politico, può esser considerato il seguito di "Amused", l'altro è sull'amore. Usciranno appena avrò finito il lavoro su "Ça Ira"».
Com'è uscito, umanamente, dall'incontro con i suoi vecchi compagni al Live8?
«E' stato importante poter supportare Geldof. Il Live8 mi ha dato l'opportunità di parlare con Dave Gilmour, dopo tanto tempo, nei 4 giorni di prove. Ero veramente dispiaciuto per quel che era successo fra Dave e me, dunque è stato veramente bello. Possiamo avere punti di vista diversi, ma non abbiamo bisogno di esser d'accordo su tutto per suonare insieme».

Marinella Venegoni